Pagine

giovedì 28 aprile 2011

Street food, già nell'antica Roma si mangiava così

Sembra che sia la tendenza del momento: il cibo da strada o "street food", come lo chiamano i più, è diventato uno dei modi più comuni per mangiare un boccone mentre si fa una passeggiata su un lungomare o si osservano le vetrine dei negozi.
Per capire la portata di questo fenomeno basta pensare che, al giorno d’oggi, circa due milioni e mezzo di persone in
tutto il mondo mangiano street food.
Mentre in America spopolano hot dog, hamburger e compagnia bella, in Italia la categoria del cibo da strana è rappresentata da pietanze con un antica tradizione popolare: gli arrosticini Abruzzesi, i wurstel dell’Alto Adige o, ancora, gli arancini Siciliani ed i pesci fritti delle varie località marittime. Nonostante possa apparire come una consuetudine moderna, il mangiare per strada è una delle forme di ristorazione tra le più antiche del globo ed è nata persoddisfare una serie di bisogni primari dell’uomo quali la voglia di socializzazione ed aggregazione ed, ancora prima, la necessità di nutrirsi anche lontano da casa, in qualsiasi luogo.

In Italia, i precursori di questa tendenza, sono stati i Romani, una delle popolazioni più evolute della storia.
Sin dai primi passi della civiltà Romana, la popolazione cittadina usava consumare i pasti in maniera molto veloce, in piedi, addirittura camminando.
Questa consuetudine era particolarmente vissuta dal popolo che, nella maggior parte dei casi, non disponeva di fornelli per cuocere o scaldare.Il cibo e si trovava così costretto a ricorrere ai venditori ambulanti.
L’unico pasto "sacro", consumato con le gambe sotto il tavolo, era la cena mentre per il resto della giornata le bancarelle degli ambulanti, che offrivano una vasta scelta di pane, frittelle, carne arrostita e salsiccia a basso prezzo, erano letteralmente invase da centinaia di persone in cerca di un pasto caldo o di una sana bevuta.
Ovviamente la situazione era molto diversa per i ricchi ed i nobili che, al contrario, ritenevano l’usanza di mangiare per strada di cattivo gusto.
Fermarsi a mangiare un boccone presso la bancarella di un ambulante poteva addirittura intaccare la reputazione di un aristocratico poiché, secondo il parere comune, vivere e mangiare per strada non era dignitoso a certi livelli.
Pare che Roma pullulasse a tal punto di banchetti ambulanti che, ad un certo punto, le strade dell’Urbe fossero impraticabili.
Per risolvere questo problema, l’imperatore Domiziano promulgò un editto con lo scopo di regolare l’esposizione e la vendita di cibo per strada e sui marciapiedi. L’editto rimise senza dubbio un po’ d’ordine per le strade di Roma, tanto che persino un illustre scrittore e poeta come Marziale decise di dire la sua scrivendo un
epigramma in cui esaltava la bellezza e la "calma" della Città dopo lo sgombero e la regolarizzazione degli ambulanti.

martedì 15 marzo 2011

Il Tovagliolo Di Leonardo

Al giorno d’oggi una mancanza del genere sarebbe impensabile, eppure l’inserimento del tovagliolo sulle nostre tavole non risale a tantissimo tempo fa.
Basti pensare che fino alla fine del Medioevo i nostri antenati non solo non conoscevano il tovagliolo, ma usavano pulirsi bocca e mani con la tovaglia.
Un gesto ai nostri occhi rozzo e dozzinale che a quel tempo accomunava ricchi e poveri, contadini e re di tutto il mondo.


Fu solo alle porte dell’età moderna, e più precisamente nel 1491, che il tovagliolo iniziò ad approdare timidamente sulle tavole dei signori per merito del grande genio Leonardo Da Vinci.L’amore di Leonardo per la tavola era talmente grande che vedere l’incuranza e la sporcizia durante i banchetti del suo signore, Ludovico Sforza “il Moro”, gli procurava un profondo senso di fastidio.
D’altra parte basta osservare la sua “Ultima Cena” per comprendere quando importante fosse per Leonardo l’ordine in tavola e quanto, invece, fossero lontane da quell’ordine e pulizia le mense dell’epoca.
L’inciviltà alla quale assisteva durante i banchetti, portarono Leonardo a pensare che se ognuno avesse avuto una sua piccola tovaglia, nessuno si sarebbe più pulito la bocca e le mani sulla tovaglia grande che in questo modo sarebbe rimasta pulita.
Fu così che il genio di Leonardo partorì l’idea del tovagliolo, così chiamato proprio perché ricordava una tovaglia in miniatura.
A testimonianza di quanto il problema della sporcizia toccasse Leonardo, ci sono numerose lettere inviate da Pietro Alemanni, ambasciatore Fiorentino a Milano, al signore di Firenze in cui lo informa che per risolvere il dilemma del tovagliolo, il maestro decise di accantonare momentaneamente le sue abituali attività di scultore, pittore e matematico. C’è da dire, però, che la pazienza e la dedizione di Leonardo nei confronti di questa invenzione, non diedero inizialmente i frutti sperati: durante la prima apparizione pubblica del tovagliolo sulla tavola di Ludovico il Moro, i commensali non capirono a cosa servisse quella piccola tovaglia posta di fronte e loro ed iniziarono a tirarsela addosso l’un l’altro, ci si soffiarono il naso, ci si sedettero sopra ed alcuni, addirittura, lo utilizzarono per avvolgervi il cibo da portare via. Alla fine del banchetto, la tovaglia era sporca come sempre e Mastro Leonardo non riusciva a capacitarsene perché aveva pensato che la sua invenzione avrebbe riscosso un grande successo. L’intraprendente Leonardo, però, non gettò la spugna e per dimostrare quanto ci tenesse al progetto dei tovaglioli, ideò una lunga serie di schemi che spiegavano come piegarli in modo da ottenere diverse forme che ricordassero dei fiori, degli uccelli o dei palazzi. Ma non è finita qui perché Leonardo ideò degli interessanti macchinari ruotanti per asciugare i tovaglioli dopo il lavaggio che potevano essere manovrati dagli uomini e, non è ancora chiaro in che maniera, dalle api. Inutile dire che col passare del tempo, i nostri rozzi antenati impararono ad apprezzare l’utilità del tovagliolo e la sensazione di pulizia ed ordine scaturita del suo utilizzo.
Un grazie doveroso, quindi, a Leonardo Da Vinci senza il quale, forse, ci staremmo ancora pulendo la bocca con la tovaglia!

domenica 13 marzo 2011

Il Cannolo Siciliano


Il cannolo siciliano, insieme alla cassata siciliana, è il dolce più rappresentativo della nostra isola, ed è tipico del carnevale perché sembra essere nato per scherzo. Da ragazzi, spesso questo scherzo lo facevamo confezionando un cannolo dove alle estremità c’era la crema di ricotta, mentre all’interno mettevamo un batuffolo di cotone idrofilo. Era uno sballo, poiché la vittima morsicava con gusto l’estremità per poi trovare la sorpresa!In Sicilia chiamiamo cannolo la cannula del rubinetto dove scorre l’acqua, ed è proprio una canna che viene adoperata per confezionare l’involucro (la "scorcia") che contiene la crema, solo che dal rubinetto scorre l’acqua mentre dentro al cannolo scorre… la crema! Da qui lo scherzo carnevalesco e l’impiego in quel periodo.
Tuttavia, come tutte le nostre goloserie, anche questo semplice ma fantastico dolce viene mangiato tutto l’anno ed in qualsiasi momento. È sempre un piacere addentare questa particolare pasta croccante ripiena di freschissima crema di ricotta.
In ogni luogo della Sicilia si confezionano fragili e scricchiolanti cannoli che, grazie alla maestria dei nostri pasticcieri, sono diversi da luogo a luogo nella decorazione. Per esempio a Palermo, alle estremità del cannolo si usa adagiare due belle cirase (ciliegie) candite e sul dorso una fettina di buccia d’arancia candita, mentre nella Sicilia orientale è la graniglia di pistacchi di Bronte a dominare la scena. In ogni caso, l’ingrediente che non può mutare è la crema di ricotta, che deve essere rigorosamente di pecora e freschissima.
È una leccornia così cara ai siciliani che, a Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, l’onorano con la "Sagra del Cannolo". Qui, oltre alla sfilata di carri carnevaleschi (che si svolge ogni anno dal 13 Gennaio al 10 Febbraio), si possono gustare cannoli di tutte le grandezze, dai cannolicchi ai cannoli di dimensioni spropositate che rendono ancor più lieta e allegra l’atmosfera carnevalesca, ma soprattutto deliziano lo spirito e il palato.


Ingredienti:
500 grammi di ricotta fresca, 270 grammi di zucchero, 150 grammi di farina, 20 grammi di cacao in polvere, 20 grammi di burro, 1 uovo, 1 cucchiaio di marsala, 1 cucchiaio di amido, 1 bicchiere di latte, zuccata, scorza d’arancia, cioccolato a pezzi, zucchero a velo, pistacchi, olio extravergine d’oliva.

Preparazione:
Per prepare la pasta fritta dobbiamo impastare la farina, il cacao, 20 grammi di burro, l’uovo, lo zucchero ed aggiungere poi il cucchiaio di Marsala per dare corposità all’impasto. Una volta che il nostro impasto sarà omogeneo dobbiamo farlo riposare per circa un’ora. Dopodichè dobbiamo spianarlo con un mattarello e fare con l’aiuto di un oggetto tagliente dei quadrati di una decina di centimetri da avvolgere diagonalmente attorno a tubi di latta o utensili equivalenti che resistano alla frittura: quindi bagnamo le estremità per farle aderire agli utensili e friggiamo in olio abbondante.
Appena i quadrati di pasta fritta saranno di color dorato, dobbiamo farle asciugare e lasciar raffreddare per poterle staccarle dagli utensili metallici.
A questo punto ci manca il ripieno: dobbiamo prendere la ricotta e passarla al setaccio aggiungendo gli ingredienti rimasti ossia: l’amido, il bicchiere di latte, lo zucchero, i pezzetti di pistacchio, di zuccata e di cioccolato.
Decorariamo a piacere ogni singolo cannolo con della scorza d’arancia candita e dulcis in fundo spolveriamo con abbondante zucchero a velo.
I nostri cannoli sono pronti da gustare e faranno un figurone sulla vostra tavola e per tutte le vostre festività, perché questo dolce non è semplicemente buono da mangiare, ma nasconde dentro di sé una lunga storia che si ripercorre ogni volta che si assaggia il suo fantastico ripieno morbido e dolce. Chi non l’avesse mai assaggiato è invitato a farlo il prima possibile, per sapere davvero cosa si è perso.

martedì 8 marzo 2011

La dieta di Britney Spears

Reginetta mondiale del pop a solo 18 anni, non è un mistero di come Britney Spears si sia rovinata la vita e la carriera con droga ed alcool che la costringono a fare la spola tra un rehab e l’altro.
Certo ne è passato di tempo da “baby one more time”, il suo primo video-successo in cui Britney sfoggiava un fisico da urlo ed una silhouette davvero invidiabile.
A causa degli innumerevoli eccessi e di tutti gli psicofarmaci che la Spears è costretta ad ingerire, anche la sua forma fisica non è più quella di una volta e, come tutti i comuni mortali, si ritrova qualche chilo di troppo sul gobbone (o se preferite su pancia, glutei e cosce).
Dopo un lungo periodo passato a gozzovigliare con Paris Hilton & Co., pare che Britney si sia finalmente decisa a darsi da fare nella registrazione di un nuovo album per tutti i suoi delusi ma nostalgici fan ma, considerando che negli ultimi tempi prima del declino era considerata una super sexy star, prima di farsi vedere in giro per concerti e tour promozionali le toccherà mettersi a dieta.
Il dietologo che ha deciso di seguirla in questa impresa, il dottor David Katzin, ha già assicurato che ci saranno dei risultati sorprendenti che ci faranno vedere Britney in forma come non mai.
La stessa Spears si è detta completamente entusiasta della dieta a zona propostale dal dottor Katzin ed ha promesso di fronte ai mass media che ce la metterà tutta per ritornare la Brit di sempre, anche se questo significherà seguire una rigidissima dieta che le concede solo il cappuccino light per allentare i morsi della fame.
A poche settimane dall’inizio della dieta di Britney sono state messe in circolazione dal suo entourage delle foto che la ritraggono già molto magra ed in formissima.
Merito della famosa dieta?
Macchè! Si è scoperto che la foto in questione è stata ripescata da un servizio fotografico fatto cinque anni fa dalla Spears per il magazine statunitese “ok!”
Britney Britney…non si bara!

lunedì 7 marzo 2011

Vini dolci e i loro abbinamenti migliori

Una moltitudine di sensazioni: aromi di uva sultanina, confetture, agrumate, fiori e cera d’api, una gamma infinita di sentori caldi, suadenti, setosi, armoniosi e decisamente “lunghi”, sapori dolci, fruttati ed ancora aromi completi, ampi, fragranti ed eterei: alcune delle innumerevoli sensazioni olfattive che ricordano i vini dolci. Quelli con le giuste caratteristiche sono vini, da sempre, indicati soventemente nelle terapie degli anemici e convalescenti: vere delizie del palato di cui ogni nostra italica regione ha sue preziosità da far conoscere ad apprezzare all’umana golosità e buon gusto.
Il grande Daudet recita che “…il vino nella gastronomia occupa il posto dell’amore nella gamma dei sentimenti” e mi piace riportarlo prima di iniziare la trattazione dei vini dolci.
L’armonizzazione dei cibi con i vini rappresenta un essenziale cognizione per meglio apprezzare i piaceri della tavola, in special modo nel nostro paese, in quanto la scelta è molto vasta e decisamente unica! È notoriamente risaputo che le innumerevoli preparazioni dolciarie si differenziano tra di loro per il contenuto di zucchero, di sostanze grasse, aromi e gli ingredienti di varie tipologie utilizzati per la loro composizione.
Poiché non mi voglio dilungare nell’immensa casistica della pasticceria e delle dolcezze in toto, come abitualmente si usa, e dei singoli vini che meglio si adattano alle rare e piacevoli gustosità, mi limiterò ad esporre una carrellata generale che potrà essere ugualmente utile per sposare il giusto vino con le golosità preferite.
Dato per certo che non posso argomentare nulla di nuovo che già non sia a conoscenza di chi segue con intelligente spirito di volontà questa disciplina, sono certo che quanto segue potrà suggerire qualche buon “mariàge”.
Poiché è risaputo che i dolci hanno molti ingredienti in comune tra loro quali, zucchero, grassi ed aromi, ci si baserà su tali sostanze e sulla loro quantità utilizzata per orientarci, cautamente e molta accuratezza, nella scelta dei vini, partendo da quelli con la nota “dolce” senza esserlo, agli amabili, ai dolci naturali ai pastosi e strutturati, sia tranquilli che vivaci o spumanti, dalle accattivanti sfumature dorate, ambrate o purpuree: il tutto, passando dal titolo alcolometrico all’intrinseca pastosità.
A monte dell’abbinamento dolce-vino, è necessario sapere scoprire le sensazioni che gli stessi possono provocare, o meglio, sicuramente provocano!!! Solo così si potrà essere in grado di effettuare un “matrimonio perfetto” attuando un rapporto di equilibrio ed armonicità tra le sensazioni dei due interpreti culinari: si deve dedurre che si potrà considerare il dolce effettuando un percorso di analisi suddiviso in quattro momenti.
Col primo si tenterà di scoprire le caratteristiche relative alle sensazioni degli aromi che si avvertono, cioè se la loro presenza è delicata o viceversa, coprente, ovvero molto accentuata e determinante.
Successivamente si considererà lo stesso dolce in rapporto alla quantità presente di grassi: se è molto grasso oppure se lo stesso è assente con tutta la sua scala intermedia.
Si analizzerà poi la struttura, se il dolce ha ingredienti di estrema semplicità o di ricchezza. Ultimo, ma non d’importanza, si esaminerà la sensazione di dolcezza dal “dolce” al “molto, troppo dolce” sino all’eccessivo “amarognolo”. Detto quanto, è necessario suddividere i dolci in categorie.
  • a) pasta da forno - soprattutto la pasticceria da tea e similari, cioè quella da sempre considerata “secca”.
    Vini bianchi o rossi, sia dolci naturali che frizzanti o spumanti, leggera ma riscontrabile nota aromatica. La temperatura ideale è di 8-10°C stappando al momento di servire.
     
  • b) pasta lievitata - tra cui panettone, colomba, pandoro veronese, panettone genovese, ciambelle, torte morbide e panone bolognese. Con poca frutta se non addirittura senza, leggerezza e spugnosità con limitata umidità, mentre la morbidezza è data, di massima, dal burro.
    Graditissime le tipologie elencate per la sopraccitata qualità da forno, così pure per le modalità di servizio.
     
  • c) pasta non lievitata - pasta frolla, pasta sfoglia, pasta di mandorla, crostate, profiterol, bignè, composizioni e/a frutta chiara/scura.
    Bianchi dolci di buon titolo alcolometrico, alcuni moscati frizzanti aventi ottima struttura ed aromi, così pure per rossi, però sempre dolci e frizzanti e serviti a 10-12°C.
     
  • d) inzuppati - dove la base è comune per tutte tali tipologie, ma in cui vengono usati ingredienti impregnanti quali, le cosiddette bagne e creme, più o meno grasse, sia per la copertura che per la rifinitura, oppure combinate con frutti o torroncino, alla nocciola e vaniglia, etc.
    Ideali i vari vin santo, sia di tradizione toscana, in quanto è raramente dolce ma giustamente amabile, che il delicatissimo ed aromatico trentino, passiti e liquorosi, bianchi a fermentazione naturale dalla buona aromaticità e titolo alcolometrico non troppo marcato.
Con le preparazioni a base di cioccolato, è preferibile abbinare un “porto vintage” o un “corposo liquoroso”, poiché l’amaro del cacao darebbe sensazioni sgradevoli e disgustose, appunto amare: tra i pochi vini abbinabili, il piemontese “barolo chinato”, i siciliani “marsala stravecchio solera” ed “a. l. a.” - antico liquorvino amarescato., anche se solo di recente si sono “scoperti”, ma gustati da sempre, grandi vini dolci per concludere degnamente un perfetto convivio.
Si tenga presente che nel vino determinate composizioni dolci sono, letteralmente, un cumulo di sapori dolci, per cui aggiungere a tale entità ancora dolcezza, nel palato si percepirà una stucchevolezza alquanto sgradita. Sulla frutta candita quali, marrons glacés, cassata siciliana, pasta di mandorle e di ricotta, è preferibile servire liquorosi tendenti al secco, o almeno abboccati: marsala vergine, nasco di Cagliari, vernaccia di Oristano, vin santo, pignoletto passito Colli Bolognesi, che avendo la giusta freschezza e nota sia dolce che aromatica, evidenziano oltre che le proprie caratteristiche, le rarità della preparazione.
Esistono anche dei dolci con i quali è sconsigliabile l’abbinamento del vino.
Si tratta delle torte riccamente preparate con cioccolata e con caffè, nonché le preparazioni a base di agrumi del tipo “torta al limone o all’arancia, crostate con cedri e mandarini”. Tutti questi particolari ed attivi ingredienti, in quanto massicciamente presente da esserne la dominante, presentano una persistenza acida che non “lega” col vino, in quanto determina uno scontro di sapori davvero fastidiosi e fa si che il vino abbia la tendenza, sempre più evidente e marcata, ad assumere il sapore acetato.
Particolare attenzione si dovrà rivolgere alla temperatura di servizio che va scrupolosamente osservata onde voler ottenere il massimo apprezzamento delle virtù di ciascun vino a ciascun dolce. I vini “devono” essere serviti secondo precise regole dettate da una lunghissima e pratica esperienza diretta acquisita nell’arco di quei tempi e delle innumerevoli degustazioni a cui si è partecipato: regole che, in nessun caso e per nessuna ragione si possono infrangere. La personale esperienza, sempre più acquisita, mi convince che saper bere sia notevolmente più difficile che saper mangiare!
Sempre più spesso, e con piacere si nota, quando si entra in una pasticceria, vedere innumerevoli tipologie di panciute bottiglie di vino abbellite da sfarzose etichette a completamento dell’acquisto effettuato, la proposta del giusto vino da sposarvi. Un gesto, apparentemente semplice, ma implica sicurezza e praticità onde valorizzare questo prodotto bacchico di cui l’Italia è la maggior produttrice in campo mondiale. Passando dalla teoria alla pratica, cioè dalla poesia dell’abbinamento, alla contatto fisico tra questi prodotti ricchi di peculiarità ed unicità, MAI, e ribadisco MAI! abbinare spumanti e vini tranquilli rigorosamente secchi con dolci di qualsiasi tipologia. Nel caso specifico degli spumanti ottenuti sia col metodo classico che charmat, sono ancora, purtroppo, soventemente serviti con le innumerevoli preparazioni dolciarie. Gravissimo errore, poiché il particolare bouquet, il gusto delicato, la freschezza anche se eccessivamente aggressiva, sono irrimediabilmente “distrutti” dal gustosità dolce, oltre che per netto contrasto, dalla saturazione delle papille gustative.
Tutto questo, è un grave errore che si trascina da sempre e non se ne conoscono i motivi poiché da quando è nato il vino vi sono sempre stati, tantissimi e di grande struttura e piacevolezza, quelli dolci, tanto apprezzati dai nostri antichi progenitori, per cui a portate particolari come sono i dolci, abbinare sempre e solo altrettanti vini dolci, però rispettandone le reciproche peculiarità.